Essere bilingui è un vantaggio, una ricchezza. Bialystok (2017) in una revisione della letteratura individua che essi hanno prestazioni migliori in compiti in cui è richiesta focalizzazione attentiva e controllo cognitivo. Questo sembra essere vero, non solo in situazioni di bilinguismo simultaneo, ma anche dove i bambini hanno appreso una seconda lingua successivamente e, la loro lingua madre, risulta essere minoritaria.

Ma allora perché sono tante le segnalazioni per problematiche scolastiche in bambini bilingui?

Facciamo un po’ di chiarezza.

Le tipologie di bilinguismo sono molteplici e a seconda delle scelte educative e la storia di vita di ogni bambino possiamo aspettarci traiettorie di sviluppo diverse. Alcune volte è lecito aspettarsi traiettorie tipiche, ben conosciute, analoghe a bambini monolingui italiani. Altre volte, la maggior parte, invece, le traiettorie sono diverse, ma non per questo da considerarsi atipiche o problematiche.

Ad esempio, se un bambino viene esposto per i primi tre anni di vita solo alla lingua madre dei genitori, frequenta i primi anni di scuola nel paese d’origine e arriva in Italia con l’inizio della scuola primaria, avrà difficoltà a scuola? Probabilmente sì.

Queste difficoltà indicano per forza un disturbo? No.

Come fare a capirlo? Attraverso una valutazione neuropsicologica e cognitiva che tenga in considerazione le traiettorie di sviluppo tipiche di questi bambini in relazione alla loro storia linguistica.

Questa valutazione può essere effettuata subito? No, è necessario aspettare alcuni anni di esposizione continuativa e consistente all’italiano (almeno due).

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